Facebook, in centinaia scioperano contro Zuckerberg

Facebook, in centinaia scioperano contro Zuckerberg

Si allarga la rivolta dentro Facebook. Scioperano in centinaia contro Mark Zuckerberg che non ha preso posizione nei confronti del presidente Donald Trump e dei suoi eccessi online. I numeri esatti non sono noti. Alcune fonti parlano di 600 dipendenti, altre di 400. Di fatto in tanti hanno incrociato le braccia in una delle rare proteste avvenute fra i ranghi del social network. “Oggi partecipo allo sciopero virtuale in seguito alla decisione di non moderare i contenuti che noi pensiamo violino gli standard della piattaforma”, scrive Margo Stern che a Facebook si occupa di contenuti e in passato ha lavorato sulle stesse tematiche a Twitter.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’ennesimo messaggio a mezzo social di Donald Trump: “Quando iniziano i saccheggi, si inizia a sparare” per fermarli, ha scritto venerdì su Twitter e Facebook. Commentava i disordini scoppiati in seguito alla morte di George Floyd. L’azienda di Jack Dorsey ha subito bollato il tweet come incitamento alla violenza, quella di Mark Zuckerberg non ha invece mosso un dito. E così i suoi dipendenti, mentre in tutto il Paese veniva schierata la guardia nazionale e la polizia lanciava i lacrimogeni davanti la Casa Bianca, hanno manifestato il loro dissenso.

Ryan Freitas, manager che lavora nella divisione NewsFeed, ha commentato su Twitter “Mark sta sbagliando e farò di tutto per fargli cambiare idea”. E ancora: “Siamo oltre 50 con la stessa idea e ci stiamo organizzando”. Il suo collega Jason Toff ha aggiunto di “non essere affatto fiero di come (Facebook) si sta comportando”. In passato Microsoft, come Google e Amazon, hanno dovuto affrontare il malcontento della loro forza lavoro sul tema del cambiamento climatico, degli accordi con le forze armate e delle condizioni dei dipendenti. In particolare Google fu costretta a rinunciare ad un contratto con il Pentagono da 10 miliardi di dollari nel 2018.

Mark Zuckerberg ha risposto indirettamente su Facebook: “Mi sono domandato come replicare ai tweet e ai post del Presidente per tutto il giorno. Personalmente, la mia reazione è visceralmente negativa a questo tipo di retorica divisiva e infiammatoria. Il momento richiede unità e calma, e abbiamo bisogno di empatia per le persone e le comunità che stanno soffrendo (…). Ma sono responsabile non solo delle mie azioni personali, ma anche come capo di un’istituzione impegnata nella libera espressione”. La stessa espressione l’aveva usata nel discorso tenuto alla Georgetown University ad ottobre e la scelta di campo, essere neutrali rispetto agli eccessi della politica, sembrava un messaggio chiaro di cosa il colosso del Web si apprestava a fare durante la campagna elettorale. La pandemia e le proteste di piazza hanno accelerato i tempi, così come le scelte diverse fatte da Twitter che ha cominciato dal 27 maggio a segnalare i tweet sopra le righe del presidente come avrebbe fatto con una qualsiasi altra persona. Fra le due posizioni c’è una visione opposta del futuro dei social media, per Twitter responsabili dei contenuti quasi come un editore tradizionale, Facebook invece insiste nel vedersi come semplice tramite.

Dopo lo sciopero dei 600, i dipendenti di Facebook nelle chat private pare abbiano chiesto la testa di Joel Kaplan, vicepresidente con delega alla global policy, che ha lavorato con George W. Bush ed è considerato un conservatore troppo vicino a Donald Trump. Fino ad ora nessuno dei grandi nomi della cerchia di Zuckerberg ha aperto bocca. Da Sheryl Sandberg fino al britannico Nick Clegg, a capo della parte comunicazioni ed ex politico anche lui con David Cameron.

Fonte: La Repubblica