La rapidità con cui questa settimana Facebook e Twitter si sono mosse per limitare la portata di un articolo pubblicato dal New York Post su Hunter Biden ha mostrato che una politica aggressiva sulla disinformazione da parte delle piattaforme di social media non ha funzionato e non è piaciuta, scrive su Axios Scott Rosenberg.
A destra, gli esperti hanno gridato alla “censura”, con alcuni politici che hanno chiesto la testimonianza in persona dei CEO dei due social per difendere le loro scelte.
A sinistra, molti si sono detti preoccupati per il cosiddetto “effetto Streisand”: il tentativo di sopprimere o rimuovere le informazioni online attira solo maggiore attenzione su di esso e quindi fa girare ancor più le fake news.
Cosa è successo
Le due società hanno adottato misure diverse e facendo affidamento su motivazioni diverse.
Facebook ha deciso di inviare l’articolo ai suoi partner terzi per il fact checking ai fini di una revisione.
(Il fact check è ancora in corso.)
In attesa di un rapporto, il social network ha annunciato che avrebbe limitato la portata dell’articolo per ridurre la probabilità di diffondere disinformazione.
Twitter invece ha dichiarato che alcune delle informazioni nella storia, comprese foto e accenni a vita privata personale, sono “materiali compromessi”, per cui ha bloccato la condivisione dell’articolo.
In seguito, Twitter ha annunciato che cambierà la sua politica sui “materiali compromessi” e non rimuoverà più tali contenuti a meno che non siano condivisi direttamente dagli hacker o da coloro che agiscono di concerto con loro.
Tra le righe
Le due piattaforme di social hanno reagito alle critiche su come hanno gestito le loro operazioni durante le elezioni del 2016, in sostanza rispondendo a quella che a loro sembrava un’operazione di “hack and leak” simile al furto di email di DNC.